Sabo si è fermato, romanzo breve di Oto Horvat, si segnala innanzitutto per una intensa vena lirica. L’autore, attraverso la voce dell’io narrante Saša Sabo, sperimenta la scrittura soggettiva come terapia contro il dolore dell’anima all’indomani della morte della giovane moglie, qui sempre evocata con la lettera-simbolo A. In bilico tra diario, libro di memorie e appunti di viaggio, la storia si presenta come una sequenza di voci con frequenti trafitture, anche se dall’impianto non è difficile ricostruire la cronologia degli eventi: le biografie familiari dei due giovani, la vita della coppia negli anni Novanta e i suoi spostamenti lungo un itinerario che tocca diverse città europee: Novi Sad, Budapest, Berlino, Firenze. Un’armoniosa intesa intellettuale spezzata dalla malattia, cui seguono il trauma della perdita, la solitudine e lo spaesamento del “dopo”. Nel labirinto dei micro-episodi si fa pervicacemente strada l’idea della scrittura come confessione, forse unica via d’uscita dalla sofferenza. Difatti, in un rapido susseguirsi di tonalità elegiache, talvolta non immuni da accenti cupi ma sempre intercalate dalla luce del ricordo felice, il romanzo si afferma come prova di forza e inno alla continuità della vita, facendosi a suo modo portavoce di un messaggio di speranza. Non è un caso se lo scrittore Miljenko Jergović lo ha definito «il più bel romanzo» della sua generazione.
Biografia dell'autore
Oto Horvat
Oto Horvat (Novi Sad, 1967) è poeta, narratore e traduttore in serbo di opere poetiche dal tedesco, dall’ungherese e dall’italiano. Ha compiuto studi di germanistica prima in Iugoslavia/Serbia poi in Germania. Attualmente vive e lavora a Firenze. Ha esordito giovanissimo come autore di versi pubblicati in antologie e riviste letterarie ricevendo importanti riconoscimenti e premi nazionali. Con la silloge Come gli amanti di Celan (2016) si è aggiudicato nel 2017 il premio letterario Karoly Szirmai per gli scrittori di lingua serba e ungherese della Vojvodina. La sua traduzione del romanzo Cratere (1992) di János Pilinszky ha conseguito il Premio dell’anno dell’Associazione degli scrittori della Vojvodina.
Il suo primo romanzo Sabo si è fermato (2014) è stato insignito del premio Biljana Jovanović della Società letteraria serba, e insieme alle opere di David Albahari e Filip David è stato candidato al prestigioso premio letterario serbo NIN. Nel 2015 ha vinto il premio croato Mirko Kovač come miglior romanzo dell’anno.
Copertina
Ho finito di leggere questo libro il giorno di San Valentino. Un amore che non finisce grazie al viaggio interiore dello scrittore. L’ho trovato profondamente lirico, anche se non è scritto in versi. E intimo. Di una intimità universale. Quella di noi esseri umani post post-moderni.
Voglio dire che leggere questo libro, che parla di Amore, per me è stato una sorta di viaggio in una doppia dimensione.
Quella intima individuale dello spirito qui e ora, che l’autore esplora con dolore e tristezza, restituendo con un linguaggio scarno ma denso stati d’animo, immagini, idee sulla vita, dando così respiro lirico allo scritto e trasformando quindi il quotidiano in universale.
E così si passa all’altra dimensione, quella universale appunto, perché nel momento in cui l’introspezione tocca certi “archetipi” (Amore e Morte), o certe esperienze (la tristezza dell’abbandono e la sofferenza del lutto, il senso di attaccamento al proprio passato come parte imprescindibile di sé e la gioia per l’improvvisa apparizione della bellezza della vita), o ancora certe espressioni dell’arte (musica, pittura, letteratura, fotografia), lascia nitida la percezione che siano “innate”.
L’esperienza individuale dell’Autore, la sua vita spirituale, è diventata per me universale, nel senso di “comune a tutti noi abitanti delle sponde dell’Adriatico” (o poco più distanti), che in un intreccio tra ontogenesi e filogenesi stanno scoprendo che cosa c’è al di là della postmodernità. Sono diventati universali, quindi, anche gli interrogativi che l’anima si fa su come dire la rappresentazione del mondo che va prendendo forma: esiste un genere letterario per esprimerla? Può l’essere umano inventare ancora una scrittura per raccontare la vita? E’ possibile vivere di Letteratura e Arte? O abbiamo solo un destino da “Homo” economico e tecnologico?
E' una storia dura ma molto coinvolgente. La sofferenza per la morte di una persona cara ti spinge sulle vie della memoria di luoghi, situazioni, parole che non hai colto abbastanza e che adesso non si possono ripetere...Tutto quello che ti resta però non è poco: è la consapevolezza della vita vissuta e di quanto di essa è impresso indelebilmente in te. La memoria è confusa ma la vita vissuta , con quello che abbiamo ricevuto e donato, è in noi per sempre.